«La pandemia prova difficile per tutti. Ma sono le donne a portare il peso maggiore»
“La pandemia sta mettendo a dura prova tutti noi, la paura di contagiarsi, il distanziamento fisico, la serrata delle scuole e di molte attività lavorative, la perdita del lavoro, ha stravolto le nostre abitudini, costringendoci in casa. Una condizione di forte impatto emotivo per l’individuo e la comunità, un’emergenza psicologica accanto a quella sanitaria”. A parlare è la dottoressa Patrizia Borrelli, psicoterapeuta sistemico relazionale, che analizza le ricadute psicologiche della pandemia soprattutto sulle fasce più fragili della popolazione.
A suo avviso quali sono le categorie che stanno soffrendo di più in questa pandemia?
Nella prima ondata sono emerse le disparità sociali fra coloro che hanno potuto attingere a supporti tecnologici e le famiglie meno attrezzate. Ed è emersa la disparità di genere. Perché, il prezzo più alto è stato pagato, ancora una volta dalle donne, maggiormente dalle madri di figli con disabilità, per le quali destreggiarsi fra lavoro agile e didattica a distanza è un’impresa ancora più complessa di quanto non sia per le altre.
Cos’è cambiato tra prima e seconda ondata?
La prima ondata è stata molto sacrificante. Ma per quelle persone che hanno avuto la fortuna di non essere colpite da malattia e lutti è stato anche un tempo da poter dedicare a nuovi progetti, un tempo in cui, insieme alla preoccupazione c’era spazio per solidarietà e l’angoscia poteva trovare un po’ di sollievo anche grazie a quelle occasioni di resilienza di comunità. La seconda ondata risulta essere, per molti, più pesante da sostenere.
Perché?
Ci trova quasi tutti più in difficoltà nell’accettare le nuove restrizioni, più stanchi, arrabbiati, carichi di pensieri persistenti e negativi. C’è la sensazione di stare in mare aperto, non si riesce a intravedere la terra ferma, non si vede una fine certa e tende a prevalere, un maggior senso di scoraggiamento e sfiducia. L’incertezza economica, sanitaria, sociale della seconda ondata, genera angoscia e paura, che portano ad alcuni di quei fenomeni collettivi a cui stiamo assistendo di negazionismo ed evitamento.
Cosa si può fare per affrontare questo momento così faticoso per tutti?
È importante chiarire che non esiste una ricetta magica e che ciascun individuo reagisce in modo originale davanti alle sfide, ma potrebbe essere importante riconoscere e monitorare le nostre reazioni fisiche ed emotive, accoglierle, dando un nome alle emozioni, ricordandosi che, davanti ad un evento così tragico, è normale sperimentare un certo carico di ansia, pensieri intrusivi, senso di solitudine, irritabilità.
Se dovesse dare un consiglio pratico a chi sta chiuso in casa, cosa suggerirebbe?
Può risultare utile, durante la giornata, ritagliarsi tempi di decompressione, che ci aiutino a prendere le distanze dalla situazione, da dedicare al riposo, al dormire, allo stare con i propri cari, anche grazie all’ausilio di canali virtuali, per condividere un’attività piacevole e rilassante e continuare a mantenere i contatti con parenti e amici, anche a distanza. Ricordiamoci poi che dedicarsi ad attività: dal cucinare, al lavoro a maglia, alla lettura, al pulire casa ecc., può aiutare ad allentare le tensioni. Anche dedicarsi quotidianamente ad una moderata attività fisica, compatibilmente con le proprie condizioni di salute, può aiutare non solamente a tenersi in forma, ma anche a ridurre il carico di stress. Nel caso in cui ci si rendesse conto di aver bisogno, chiedere un aiuto psicologico, accedendo alla rete di supporto offerta.
Quando si sta in casa spesso tv e pc restano accesi. Può essere dannoso?
È bene cercare di ridimensionare il tempo di esposizione ai media, alla ricerca di notizie, limitandole ad un momento della giornata, meglio di giorno, per evitare un sovraccarico di informazioni, che potrebbero solamente allarmarci e creare confusione, dedicandosi ad attività il più possibile rilassanti e concilianti il sonno di sera.
Cosa consiglia a chi intende farsi aiutare in un percorso psicologico?
Ricordiamoci che sul territorio nazionale sono presenti servizi di sostegno psicologico pubblici, i Consultori familiari, le Unità Operative di Psicologia (UOpsi), che operano all’interno dei servizi sociosanitari resi dalle Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) e dagli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) e professionisti della salute mentale, che operano nel privato, ai quali potersi rivolgere per un supporto nella gestione dello stress, dell’ansia e la rielaborazione di tutte quelle reazioni emotive, che potrebbero emergere a causa della situazione complessa che stiamo vivendo e quel carico di incertezza che ancora ci accompagna.
*La dottoressa Patrizia Borrelli è Psicoterapeuta Sistemico Relazionale