Da Sesto al Kenya; Stefano Liguori e la sua esperienza medico-umanitaria
Stefano Liguori, un giovane ragazzo di ventritrè anni, nato e cresciuto a Sesto, è studente al quarto anno di Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano e lavora per Testbusters, società che si occupa di preparare gli studenti in procinto di sostenere l’esame di ingresso alle facoltà sanitarie. Stefano nutriva da tempo la volontà di intraprendere un’esperienza di volontariato umanitario, ma non riusciva a trovare nulla che facesse al caso suo. La sua intenzione era quella di fare un’esperienza intimamente personale, genuina e a tutto tondo, completamente immersa nel luogo di destinazione e soprattutto a contatto con la gente.
Lo scorso marzo, tramite un passa parola con due sue amiche, incontra John Muruiri, direttore di una piccola Ong “Action for Children in Conflict” (AfCiC) e decide finalmente di partire in compagnia di Elena, amica e compagna di corso. “Siamo partiti alla cieca con l’obiettivo per lo più di visitare l’Ong”, dice Stefano e, invece, i due si sono ritrovati per quattro settimane catapultati in un mondo diametralmente opposto al nostro, respirando a pieni polmoni la cultura kenyota e aiutando come potevano. Entrambi hanno intrapreso un’esperienza di volontariato umanitario, seguendo quotidianamente il lavoro dei membri dell’associazione che vivono stabilmente in Kenya e che si occupano, per lo più, di dare assistenza e protezione ai molt* giovan* che vivono per strada.
“Vivevamo negli uffici, ci svegliavamo e andavamo con ognuno di loro nei vari centri che si occupano di riabilitazione ed educazione. Organizzavamo attività ludiche e di intrattenimento e tornei sportivi, tutto ciò che potesse tenere occupati e lontani dalla strada bambin* e ragazz*. Abbiamo anche lavorato con le maestre in una scuola dedicata a bambin* con “bisogni speciali”. Infine nell’ultima settimana siamo andati in ospedale a osservare e fare attività da tirocinanti”. Il racconto di Stefano prosegue così: “Quando eravamo lì ci siamo resi conto dell’esperienza genuina e pura che stavamo vivendo, eravamo gli unici bianchi della città, quindi siamo entrati completamente a far parte della loro quotidianità. Ci hanno dato persino dei nomi tipici del posto, come fossimo abitanti del luogo, non c’erano più differenze o distanza”.
Dopo il mese trascorso in Kenya Stefano ha deciso di fare di più sospinto dal pensiero che “io avrei continuato a star bene qui, mentre loro a non avere da mangiare. Allora mi è venuto in mente che l’unico modo per aiutarli sarebbe stato organizzare un progetto di volontariato che, però, potesse preservare e incarnare la stessa purezza e genuinità che ho respirato io”. Quindi, grazie al suo lavoro, è riuscito a diffondere la sua esperienza e invogliare ben altri 82 studenti di facoltà sanitarie a partire.
Questo progetto neonato prenderà piede ufficialmente ad agosto quando altri due ragazzi fiorentini partiranno alla volta di Thika. Lui, invece, ripartirà con il gruppo di settembre per assicurarsi che tutto proceda nel migliore dei modi. Dice: “L’organizzazione si è fidata della mia idea e nascerà questo progetto di un mese (2 settimane di volontariato umanitario + 2 di tirocinio) che, per ora, è stato proposto solo a studenti di facoltà sanitarie dal quarto anno in su e/o già laureati, ma l’idea è di fare qualcosa di ancora più grande. Di estenderlo il più possibile, coinvolgendo altre associazioni, e facendo rete con le Università per far sì che possano offrire questa opportunità a più facoltà e studenti. C’è bisogno dell’aiuto di tutti!”.
Per concludere Stefano racconta di uno dei ricordi che l’hanno maggiormente segnato e che custodisce con più affetto: “Noi andavamo a giocare con i ragazz*, il cui ritrovo era il marciapiede, per distrarli da attività malsane e poi regalavamo a tutti porzioni di pane e latte. Il cibo era contato e, nonostante fosse per loro l’unico pasto del giorno o, addirittura della settimana, volevano sempre condividerlo con noi. Questo è stato il ricordo più bello che ho; come noi siamo abituati a vivere nell’agio, e loro, che non hanno niente, siano così intimamente buoni e possiedano un profondo spirito votato alla condivisione con l’altro”.