Anpi in lutto, scompare Sergio Temolo. Una vita in difesa della memoria
Tanti sono i messaggi di cordoglio per Sergio Temolo, che si è spento ieri sera dopo una lunga malattia. Era figlio di Libero Temolo, uno dei Quindici Martiri di Piazzale Loreto. Nell’estate del 1945 entrò nei Convitti Scuola della Rinascita. Sergio era presidente onorario dell’IpR (Istituto pedagogico della Resistenza) di Milano e membro del Comitato Provinciale dell’ANPI.
A ricordarlo sono le tante persone che lo hanno conosciuto e inoltre l’IpR, le sezioni ANPI e ANED. Scrive Roberto Cenati, presidente dell’ANPI Provinciale: “Con Sergio perdiamo una persona di straordinaria sensibilità ed equilibrio. Non ha mai mancato di ricordare quel terribile eccidio nazifascista nelle cerimonie del 10 agosto in piazzale Loreto, con interventi storicamente molto documentati e sempre rivolti alla necessità di fare Memoria. Con Sergio perdo un amico, al quale mi rivolgevo nei momenti difficili della mia presidenza. Sapeva ascoltare, dare consigli, rasserenare. Mancherà a me, all’ANPI, alla sua Milano.” Così lo ricordano gli amici dell’IpR: “Era davvero un uomo raro: paziente, sereno, positivo, generoso, sempre pronto a trovare la strada per risolvere un bisticcio o una sopraffazione. Non solamente per noi, ma per la città e per la comunità di chi mantiene i caratteri dell’umanità solidale, è una grandissima perdita.”
Sergio Temolo è stato più volte a Cinisello Balsamo, sia in occasione delle iniziative organizzate per ricordare l’esperienza dei Convitti Scuola della Rinascita, sia per supportare la moglie Luigia Introini negli allestimenti delle sue mostre fotografiche. Anche il mio ricordo commosso è quello di una persona di grande umanità, che incontravo spesso ai congressi ANPI e alle manifestazioni in Piazzale Loreto; si veniva sempre accolti dal suo rassicurante sorriso, che era quello di un uomo buono e saggio.
Voglio ricordarlo con affetto, riproponendo un’intervista che gli avevo fatto nel 2020, pubblicata il 5 agosto sul nostro giornale. So quanto gli costava raccontare della sua vita passata, del dolore per la morte del padre, della guerra, e anche per questo gli sono molto grata. Sergio citò più volte il suo grande amico e coetaneo, il poeta e scrittore Franco Loi, morto un anno fa, il 4 gennaio 2021, pochi mesi dopo quell’intervista. Per questo voglio accompagnare l’articolo con una foto che li ritrae insieme, abbracciati e sorridenti.
Alla moglie Luigia Introini, alla figlia Dania e ai nipoti, le condoglianze del nostro giornale.
Intervista del 5 agosto 2020
Quasi sempre la storia e le memorie legate alla Resistenza sono incentrate su persone che hanno combattuto per la liberazione del nostro Paese; raramente ci si sofferma a riflettere su quanta paura e quanto dolore hanno abitato l’animo delle famiglie dei resistenti. In particolare i bambini, rimasti orfani, sono stati anch’essi vittime di questa, come di altre guerre. Il racconto di un adolescente di allora, rimasto senza padre, ci restituisce dell’eccidio di Piazzale Loreto a Milano uno sguardo innocente e tenero, quello di un quattordicenne orgoglioso e pieno di amore nei confronti del padre. Sergio era figlio di Libero Temolo, uno dei Quindici Martiri di Piazzale Loreto; ci siamo fatti raccontare la sua storia.
“Mio padre era cresciuto in una famiglia antifascista, con undici tra fratelli e sorelle. Mio nonno era una persona con forti ideali, che trasmise ai figli già a partire dal nome a loro imposto: mio padre Libero Progresso, poi Giuseppe Garibaldi, Annita, Dante, Libera, Giordano Bruno e Bruno Giordano e così via. Il mio nucleo familiare era composto da me e da mio padre; vivevamo ad Arzignano in provincia di Vicenza. Poi mio padre decise di venire a Milano per cercare lavoro. Fu assunto alla Pirelli Brusada (dove ora c’è il Pirellone) e in seguito alla Bicocca. In quel periodo si sposò e nel 1936 portò anche me a Milano; avevo sei anni. La sua attività antifascista proseguì anche qui; era collegato al PCI clandestino ed era responsabile per il partito alla Pirelli Bicocca. Vicino a noi abitava Nino, il sarto, ma quella era solo una copertura, infatti il vestito che doveva cucire per me non fu mai realizzato. In realtà mio padre ed io andavamo da lui prima del coprifuoco per portare o ritirare materiale, io servivo da “contenitore” per la carta stampata. Un anno dopo di noi è arrivato a Milano anche Franco Loi; siamo diventati subito amici e lo siamo ancora oggi che abbiamo novant’anni. Con lui e altri ragazzi, nel periodo dal 1942 al 1945, avevamo formato un gruppo, La mano nera, che compiva azioni di disturbo, come scritte murali (W la pace, W il pane bianco, ecc.) e volantinaggio nelle caselle delle villette dei ricchi, che noi credevamo fascisti e invece ci rendemmo conto in seguito che sbagliavamo.
Mio padre fu arrestato ad aprile del 1944, all’uscita dal lavoro. Si trovava in carcere quando, il 10 agosto, insieme ad altre quattordici persone, fu portato in piazzale Loreto per essere fucilato. Lui ed Eraldo Soncini, un altro della Pirelli, cercarono di fuggire, ma furono raggiunti dagli spari. I loro corpi facevano da perimetro al mucchio dei Quindici Martiri. Fu un atto di rappresaglia a seguito di un’azione, mai rivendicata dai partigiani. Un camion tedesco era stato fatto saltare in aria e, nonostante i soldati tedeschi non avessero riportato perdite, l’ordine fu di fucilare quindici antifascisti.
Fu in realtà una strage allo scopo di intimidire i cittadini, molti dei quali furono costretti a sfilare davanti ai corpi ammucchiati. Io non seppi subito della fucilazione di mio padre perché non mi trovavo a Milano – continua Sergio Temolo – i miei familiari, dopo il suo arresto, avevano ritenuto opportuno mandarmi ad Arzignano. Stavo in casa di una zia, moglie di un fratello di mio padre, anch’egli arrestato a seguito degli scioperi e deportato a Fossoli e poi a Mauthausen. Vi furono degli accadimenti quel giorno che mi fecero sospettare che fosse successo qualcosa, ma nessuno fece trapelare alcunché, nemmeno mio zio Eugenio che era nascosto con i partigiani e che spesso incontravo. Appresi della morte di mio padre solo al mio ritorno a Milano, mi pare fosse verso la fine di ottobre. Stavo camminando verso piazzale Loreto con un’altra persona che, quando ci trovammo all’angolo con via Doria, mi disse: É qui che hanno ucciso tuo padre. Giunto a casa, la mia matrigna mi chiese se avevo saputo del papà; annuii senza dirle che lo avevo appreso poco prima. Invece il mio amico Franco Loi aveva visto quei corpi ammucchiati. Conosceva mio padre e, quando seppe che anche lui era una delle vittime, fu molto colpito, al punto che per tre mesi tornò a dormire con i suoi genitori. Sull’eccidio scrisse Piazzale Loreto 1944, un bel ricordo poetico.
Non c’ero quel 10 di agosto, ma c’ero ad aprile del 1945 quando, simbolicamente nella stessa piazza, portarono i corpi di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fascisti. Dall’alto di un cumulo di macerie osservavo con Franco Loi quel che accadeva; vedevamo tutta la folla accalcata e la rabbia violenta che si esprimeva con calci e sputi contro quei corpi ammassati. Per questo motivo decisero di appenderli sulle strutture del distributore della Esso. Non mi piacque quella scena, come tutto quello che succedeva in quei giorni.” Aggiunge Sergio Temolo con commozione: “per me non fu una festa perché comunque l’unica persona che amavo non c’era più. Ero rimasto solo. Fu la stessa sensazione che provai al processo a Saevecke; l’ho quasi sempre seguito, ma per me aveva solo un significato civile e storico (NdR: Theodor Saevecke, riconosciuto il responsabile dell’eccidio, subì un processo in contumacia in Italia solo negli anni Novanta. Venne condannato all’ergastolo, ma rimase libero fino alla morte, in quanto fu respinta la richiesta di estradizione).
Oltre al monumento dedicato ai Quindici Martiri in piazzale Loreto, il Comune di Milano ha intitolato a mio padre una nuova via, ubicata nel perimetro dove sorgeva la Pirelli Bicocca“. Conclude Sergio Temolo: “Di mio padre mi restano due foglietti che trovarono nelle sue tasche, dove aveva scritto: TEMOLO coraggio e fede. Sempre fede LIBERO. Ai miei adorati sposa, Sergio e fratelli: coraggio, coraggio, ricordatevi che io vi ho sempre amato. Un abbraccio dal vostro Libero. Raccomando Sergio, educatelo. Baci a te sposa e fratelli Temolo. Si era raccomandato che si occupassero della mia educazione ed io ebbi la fortuna di entrare nei Convitti Scuola della Rinascita per partigiani e reduci. Vi rimasi da agosto del 1945 fino al 1949; questa esperienza è servita a darmi una grande famiglia, a studiare e a formarmi. I cinque anni di guerra e i quattro del Convitto Rinascita furono per me una scuola di vita. In tutti questi anni il ricordo di mio padre non mi ha mai abbandonato; per un lungo periodo lui fu la mia famiglia, l’unica persona da me amata”.