23 Novembre 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Smartworkes sempre reperibili ma poco pagati

“Cercasi Smartworkers”, ovvero trovare persone disposte a lavorare in agilità, la cui cosa tradotta assai più strettamente significa: operare da casa propria. Quelli esperti in neologismi lo definiscono “nomadismo digitale”. Accade, nella musica, che i suoni di 60 anni prima ritornino ad echeggiare nonostante i giovani e valorosi musicisti di oggi non se ne rendano conto.

Così nelle modalità di lavoro che qui vorremmo chiamare con un nome, anch’esso considerato novecentesco ma tutt’altro che demodé, cioè: sfruttamento. Assieme a Napoleone Drago, a cui ci legano anni di militanza sindacale come delegati di base, vorremmo aprire con questo articolo una serie di riflessioni, da riproporre anche nei prossimi numeri del nostro giornale. Lo faremo sulle implicazioni del lavoro a domicilio. Poiché di questo si tratta. Pur non volendo solleticare la sensibilità di qualcuno che sebbene autoproclamatosi di sinistra, sarebbe pronto a mettere mano alla pistola sentendo la parola “capitalismo”, vogliamo ricordare che fin dai tempi andati i padroni utilizzarono le forme più variegate per scaricare sui lavoratori, non solo la fatica ma anche numerosi altri oneri.

Potremmo esemplificare nel raccontare di quelle sarte che assemblavano le camice già tagliate con ore di lavoro notturno e con macchina da cucire, luce, riscaldamento a proprio carico per un compenso di 5 lire a capo cucito. Drago, ha messo i piedi sul piatto dicendo: “Questa modalità di lavoro casalingo apertamente sollecitata dalle aziende mi spinge ad una domanda: come si può fare per creare una sensibilità sindacale?”

L’allargamento del campo d’intervento, mette in gioco la capacità di trovare norme sulle quali costruire piattaforme. Non sarà facile superare la frammentarietà e la diversità professionale delle figure. Ma, a pensarci bene, non è così strettamente personale se la si configura con un lavoro che confluisce in un’azienda che avrà un nome e un Cda pronto a incamerare i profitti. Con Napoleone Drago, abbiamo abbozzato alcuni spunti, partendo da quello che apparirebbe il punto di vista meno economico: l’aspetto sociale su cui soffermarsi dato che il lavoro a casa comporta a condizioni di segregazione, togliendo spazio alle relazioni e alla curiosità di vita che un lavoro a contatto con altri può dare.

Un altro spunto viene dalla componente del compenso che spetterebbe al lavoratore casalingo. Esso non viene contemplato comprensivo di affitto, assicurazione, consumo energetico che determinano viceversa un notevole vantaggio aziendale.

Sul “Sole 24 Ore” è apparsa una stima che tratta i risparmi aziendali con lo smartwoking dove si legge “ … con il ricorso al lavoro remoto le imprese recuperano fino a 500 euro a postazione con il solo 13% che va al personale in termini di compenso” Dallo stesso foglio di Confindustria, si apprende che i lavoratori in remoto sono 3,6 milioni, il risparmio per il lavoratore è di 1.000 euro per i trasporti ma aumentano i suoi costi a 400 euro solo per fronteggiare le utenze. Le aziende che hanno adottato questa tipologia di prestazione sono il 91%. Da mettere in rilevo che quasi mai il nomade digitale gode di un rapporto di lavoro definibile genuino.

Cioè con un contratto che preveda ferie, malattia, riposi, orari ecc. Quasi sempre si assimila a tal prestazione la caratteristica di occasionale. Pertanto è simile a un qualsiasi, nel migliore dei casi, lavoro stagionale o a progetto. Vi è poi l’uso della disponibilità a restare connessi, anche se i padroni non lo nominano ma di sicuro vi fanno affidamento sino a considerarlo un parametro di valutazione sul lavoratore. Pare corretto che una persona debba, solo perché si trova tra le proprie mura domestiche, rispondere 24 ore su 24? Non sarebbe così scandaloso mettere regole contrattuali su questo punto proprio per affermare un diritto. Non lo sarebbe ragionando anche sul dato generale e questo lo tratteremo il mese prossimo.

Ivano Bison

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