Il cinisellese Giuseppe Gozzini fu il primo a difendere la memoria di Giuseppe Pinelli
Non so come ma ho la certezza che con la strage di pochi giorni fa, l’orrendo coro dei giornali e questo assassinio del Pinelli, è davvero finita una età, cominciata ai primi del decennio. È possibile il silenzio degli uomini dell’opinione, i difensori dello stato di diritto? Sì è possibile. La paura è veloce.
Franco Fortini
Il 15 di dicembre è la data dei funerali delle vittime della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, ma è anche il giorno della morte di Giuseppe Pinelli.
Nacque a Milano, nel quartiere popolare di Porta Ticinese, il 21 ottobre 1928. Pinelli, giovanissimo, partecipò alla Resistenza come staffetta nella Brigata Autonoma Franco, qui conobbe l’anarchico Angelo Rossini ed entrò nel movimento libertario. Di professione ferroviere, aveva una buona cultura da autodidatta ed era un militante anarchico, tra i fondatori del Circolo Ponte della Ghisolfa.
Un paio d’ore dopo lo scoppio della bomba, Luigi Calabresi (commissario capo e vice capo dell’Ufficio politico) aveva incontrato Pinelli nella sede degli anarchici e lo aveva invitato a seguirlo in Questura col suo motorino. Nel frattempo i poliziotti stavano perquisendo la sua abitazione. Pinelli non era il solo in Questura in quelle ore, tante erano le persone fermate in attesa di interrogatorio. La moglie Licia fu rassicurata da una telefonata che ricevette dal marito. Nei giorni successivi Pietro Valpreda, “il ballerino anarchico”, finì su tutte le pagine dei giornali come il “mostro” responsabile della strage. Cosa fosse accaduto durante l’interrogatorio di Pinelli, prima di precipitare da una finestra della Questura il 15 dicembre, non fu mai chiarito.
I fatti tragici di quei giorni, oltre a coinvolgere il prete cinisellese don Corrado Fioravanti, come raccontato nel precedente articolo sulla strage, coinvolsero un altro cinisellese, Giuseppe Gozzini. Nato nel 1936 in una famiglia operaia, era un fervente cattolico, animato sin da giovane da profondi sentimenti di giustizia e di uguaglianza. Il 13 novembre del 1962, chiamato alle armi, rifiutò di indossare la divisa militare in coerenza con la sua fede. Fu il primo obiettore di coscienza cattolico, scelta che a quei tempi equivaleva a reato militare. Rinchiuso in carcere a Firenze e nel reparto neurologico dell’ospedale militare della città, in seguito fu condannato a sei mesi di detenzione, senza la condizionale.
Giuseppe Gozzini fu il primo che, contro le versioni dei media, difese pubblicamente l’immagine dell’amico Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato di essere coinvolto nella strage di piazza Fontana. “È la mattina del 16 dicembre 1969. La porta della camera da letto si spalanca come per un colpo di vento, è mia moglie Paola. ‘Hanno ammazzato il Pinelli’. Ancora mezzo addormentato corro a comprare i giornali. Subito e nei giorni successivi leggo su Pino le cose più inverosimili e infamanti: ‘una persona incolore’, ‘uomo sottomesso’, ‘quanto a cultura, zero’, eccetera; definizioni intollerabili. Ma soprattutto quasi nessuno contesta o mette in dubbio la versione del suicidio. Subito a caldo scrivo una lettera ai giornali cercando di dire chi era Pinelli (almeno per me). Ne ciclostilo un po’ di copie e le porto direttamente ai quotidiani, le spedisco a periodici e riviste per rompere il muro del silenzio, smontare le falsità. La lettera viene pubblicata da qualche quotidiano e poi ripresa nei mesi successivi da almeno una trentina di testate”.
Ecco il testo della lettera di Gozzini ai giornali.
“Chi era Giuseppe Pinelli? Il mio primo incontro con Pinelli risale ad alcuni anni fa. Sapeva che ero stato il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia, aveva seguito gli sviluppi del mio processo negli ambienti cattolici (soprattutto fiorentini) ed era come affascinato dal tipo di testimonianza. Conosceva – e non per sentito dire – movimenti e gruppi che si ispiravano alla non violenza e voleva discutere con me sulla possibilità che la non violenza diventasse strumento d’azione e l’obiezione di coscienza stile di vita, impegno sociale permanente. Io gli parlavo di ‘società basata sull’egoismo istituzionalizzato’, di ‘disordine costituito’, di ‘lotta di classe’ e lui mi riportava oltre le formule, alla radice dei problemi, incrollabile nella sua fede nell’uomo e nella necessità di edificare ‘l’uomo nuovo’, lavorando dal basso. Poi ci vedemmo in molte altre occasioni e i punti fermi della nostra amicizia divennero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, due preti ‘scomodi’ che hanno lasciato il segno, e non solo nella Chiesa. Viveva del suo lavoro, povero ‘come gli uccelli dell’aria’, solido negli affetti, assetato di amicizia e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana. Le etichette non mi sono mai piaciute. Quella che hanno appioppato a Pinelli – ‘anarchico individualista’ – è melensa, per non dire sconcia. Si è sempre battuto infatti contro l’individualismo delle coscienze addomesticate: lui, ateo, aiutava i cristiani a credere (e lo possono testimoniare tanti miei amici cattolici); lui, operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici. Non ignorava le radici sociali dell’ingiustizia ma non aveva fiducia nei mutamenti radicali, nelle ‘rivoluzioni’ che lasciano gli uomini come prima. Paziente, candido, scoperto nel suo quotidiano impegno era lontano dagli ‘estremismi’ alla moda, dalle ideologie che riempiono la testa e lasciano vuoto il cuore. Stavo bene con lui, anche per questo. Poi d’improvviso, l’arresto, gli interrogatori, la tragica fine. Dalle pagine dei giornali mi appare la sua immagine deformata in una lente mostruosa mentre permane il mistero sulla sua morte. ‘Era un bravo ragazzo – scrivono – però…’. E le fantasie si accendono. Ma quali sono i veri indizi, i sospetti fondati? Voglio che mi sia restituita la memoria del Pinelli, quello vero, che io ho conosciuto”. Milano, dicembre 1969, Giuseppe Gozzini.
Bisognerà però attendere quarant’anni per avere un riconoscimento pubblico grazie alle parole e alla commozione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pronunciate a maggio del 2009: “Rispetto e omaggio per la figura di un innocente, Giuseppe Pinelli, che fu vittima due volte, prima di pesantissimi infondati sospetti e poi di un’improvvisa, assurda fine. Qui si compie un gesto politico e istituzionale, si rompe il silenzio su una ferita non separabile da quella dei diciassette che persero la vita a piazza Fontana e su un nome, su un uomo, di cui va riaffermata e onorata la linearità, sottraendolo alla rimozione e all’oblio”.
Il 12 dicembre, a casa dei familiari delle vittime della strage e a casa di Pino Pinelli, la diciottesima vittima, il mondo si fermò. Quel giorno, durante la perquisizione a casa di Pinelli, i poliziotti avevano aperto tutti i pacchetti con i regali che erano stati preparati per Natale. Uno dei pacchetti era di Silvia e Claudia per il padre. Un pacchetto di sigarette che, impacchettato nuovamente, le figlie vollero portare con un biglietto sulla sua tomba.
- Il testo della lettera di Giuseppe Gozzini ai giornali è contenuto nei libri:
- P. Scaramucci, L. Pinelli, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, 2^ ed. 2009;
- G. Gozzini, (a cura) P. Scaramucci, L. Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore, Edizioni dell’Asino, 2014.