23 Novembre 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

L’agnello che non toglie i peccati del mondo

di Annamaria Manzoni, www.annamariamanzoni.it

Ci risiamo: è pasqua un’altra volta, ma la resurrezione glorificata è solo quella di Cristo, e non riguarda purtroppo le centinaia di migliaia di agnelli che sono chiamati a celebrarla nel modo che gli esseri umani hanno deciso: vale a dire attraverso una mattanza spaventosa. Si tratta di animali nati da poco che ancora per qualche giorno potranno bere il latte dalle loro madri, per poi essere caricati sui camion, ammassati l’uno addosso all’altro a belare la loro disperazione e il loro terrore, per poi giungere all’inferno che è il loro destino, fatto di gemiti e bestemmie, lamenti e imprecazioni, braccia forti e lame affilate, e sangue ovunque.

Incontro ad una morte che si spera quanto più veloce possibile, perché lo strazio che comporta, se è insopportabile da vedere e da conoscere, è solo inimmaginabile da subire da ognuno di loro. Lì dentro, dove si fa il lavoro sporco, il ritmo non conosce soste, ad una catena di montaggio che è spietata, perché c’è tantissimo da fare, dal momento che tanti sono i cuccioli necessari a soddisfare coloro che l’agnello pasquale, inteso come arrosto, lo considerano irrinunciabile. Per restare al nostro paese, le cifre sono incerte, ma si parla di centinaia di migliaia di agnelli uccisi nel periodo pasquale, numero in decrescita a partire dal 2010 (fenomeno imputabile alle “scriteriate campagne animaliste”, come gli allevatori definiscono rabbiosamente gli appelli a porre fine alla mattanza), ma comunque attestato su quantità spaventose. E si tratta di una strage che, se ha il suo culmine nel periodo pasquale, non conosce tregua nel corso di tutto l’anno, dove l’abbacchio e altre variegate ricette paiono esercitare un potere attrattivo irresistibile su appetiti alimentari insaziabili.

In un periodo storico come quello che stiamo vivendo e in un paese come il nostro, dove la sensibilità nei confronti degli altri animali sta innegabilmente crescendo, dove si fanno leggi contro il maltrattamento e le violenze contro di loro suscitano sdegno, non si può non interrogarsi su come tutto questo sia possibile, come l’intenerimento per creature indifese, non a caso simboli di purezza e innocenza, possa convivere con un’indifferenza cinica e tanta crudeltà. Di certo gioca un ruolo importante la tradizione che si collega alla religione: quella cattolica recita il mantra dell’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, che parla della riedizione del sacrificio del figlio di Dio, di cui l’agnello è simbolo, sacrificio che sarebbe necessario per lavare le colpe di noi umani. Insomma si tratterebbe della vittima sacrificale, del capro espiatorio, investito del compito di pagare al posto nostro le nostre colpe, i nostri peccati: e nessuno può farlo meglio di chi è innocente e debole, senza diritti, soprattutto incapace di ribellione: gli agnelli, appunto. Un paradigma che trova solo nel diritto del più forte la sua giustificazione.

A quanto pare chi è credente accetta acriticamente questa narrazione, su cui la Chiesa ha in genere preferito tacere, ma su cui nel 2007 papa Benedetto XVI si è espresso, affermando che l’unico vero agnello sacrificale è Gesù Cristo, non altri; con affermazioni riprese poi dall’ arcivescovo di San Giovanni Rotondo Michele Castoro, che ha ribadito come la Pasqua non c’entri nulla con la strage di agnelli, che anzi l’uomo deve piuttosto promuovere la bellezza e la vita del creato. Ancora troppo poco: sarebbe necessario che la chiesa tutta, da ogni pulpito, pronunciasse parole chiare di condanna contro questa credenza, ponendo fine a tanta sofferenza. Nella mattanza di esseri innocenti è davvero arduo rintracciare qualunque elemento di sacralità, irreperibile nel terrore degli agnelli, annientati dalla paura, increduli: perché solo un Dio dissolto insieme alle religioni più antiche e crudeli, a noi estranee, potrebbe essere così sanguinario da sentirsi appagato dalla carneficina consumata in suo nome sulla loro carne.

Ma la religione non spiega certo tutto: perché anche chi con la metafisica e l’al di là non ha grande dimestichezza e, diciamolo, neppure il benchè minimo interesse, è protagonista di quanto succede: altri laicissimi riti si consumano a tavola, senza sublimazioni di senso, in esclusivo omaggio a piaceri di palato e pancia, con consumi che registrano impennate nel periodo pasquale, ma non hanno tregua nel corso di tutto l’anno. Certo qualche problema va affrontato: per fare del male a un altro, umano o nonumano che sia, c’è bisogno di poter sostenere che non stiamo facendo nulla di sbagliato, che la nostra violenza è ben diretta perché lui è un essere che se lo merita o che esiste proprio per soddisfare ogni nostro desiderio. Il meccanismo è quello che viene applicato nei confronti di tutti gli animali che assoggettiamo alle più brutali pratiche: dobbiamo dire e dirci che i maiali sono sporchi, grassi, ricettacoli delle peggio inclinazioni per diffamarli e rendere lecito il nostro ingabbiarli e scannarli; offriamo una pessima rappresentazione dei polli; la narrazione della vita dei pesci li riduce a peso, neppure a singole entità.

Questa operazione autoassolutoria risulta francamente un po’ complicata con gli agnelli: loro non sono sporchi, ma bianchi come il latte; non sono aggressivi, ma miti per antonomasia; non risulta neppure siano stupidi: davanti a loro ci inteneriamo, ci commuoviamo, vorremmo abbracciarli e coccolarli. Un bel problema per allevatori e industria, che qualche difficoltà cominciano a incontrarla nel contrastare i dilaganti manifesti pubblicitari in cui un agnellino belante, occhi nei nostri occhi, sembra implorare di non fargli del male. Cosa opporre alla supplica accorata? Le leggi dell’economia e del mercato, i potenziali passivi delle aziende? Argomentazioni francamente un po’ povere per ritagliarsi uno spazio nel miscuglio di sensi di colpa e intenerimenti che dilagano dentro di noi. Non è un caso che la pubblicità, che ci sollecita quotidianamente, con sprezzo ed allegria, a nutrirci di cadaveri di maiali, polli, tonni, si astenga prudentemente dal fare altrettanto con gli agnelli: molto meglio glissare, evitare una pericolosa esposizione della “materia”; e non si insiste tanto nemmeno perchè questa “carne tutta italiana” venga introdotta nelle mense scolastiche, da cui a tutt’oggi è esclusa.

In conclusione, un esercito di vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato sull’altare dei nostri credi e dei nostri appetiti, non diversamente da quanto avviene quotidianamente con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e martirizzate. Le nuove sensibilità in ascesa mostrano però che ci sono sempre più persone che sanno andare contro la dittatura della consuetudine e ci provano a giudicare la realtà non adeguandosi al si è sempre fatto così, ma provando a guardare lo stato delle cose senza la nebbia dei pregiudizi.

Dice l’etologo Danilo Mainardi (1933-2017) che “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi” ed esorta a percorrere la strada di una nostra trasformazione. E non illudiamoci: una società che in parte non si vergogna di esporre cadaveri di agnelli, appesi a testa in giù ai ganci delle macellerie, in parte preferisce che il “prodotto” che arriva sulla tavola sia irriconoscibile e non rechi tracce dell’animale da cui proviene, è comunque una società che convive, ammette, incentiva una forma di violenza orribile. Le nostre vite e le nostre coscienze ne sono contaminate esattamente come succede nelle società che ammettano la pena di morte. Nessuna società può essere considerata giusta e pacifica se al proprio interno la pratica della violenza è abitudine quotidiana, chiunque ne sia la vittima, senza distinzione tra quelle umane e quelle animali: solo forme diverse di una stessa oscenità.

Ad opporsi a tutto questo indicibile può essere solo una diversa alleanza tra tutti i viventi, solidale, rispettosa, amichevole verso ogni vita, nessuna esclusa, che possa aprire una strada , in direzione ostinata e contraria, verso i luoghi di garbo e di gentilezza che ognuno dovrebbe poter abitare, verso i prati su cui gli agnellini dovrebbero poter celebrare la loro gioia di vivere.

Redazione "La Città"

Articolo precedente

Bresso si interroga sulla piscina chiusa “per inerzia”

Articolo successivo

A Cinisello scompaiono le periferie ma fioriscono le aiuole

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *