Quel giorno dell’aereo nel Pirellone, corsi sul posto e fui il primo a raccontare
Si sono celebrati a Milano i ricordi del tragico evento registrato il 18 aprile del 2002 quando un piccolo aereo, un monomotore Rockwell Commander, si infilò nel grattacelo Pirelli. Io ho un ricordo chiarissimo dato che guidavo la troupe televisiva, che quasi subito giunse sul posto dello schianto. Non fu bravura ma pure circostanze favorevoli dato che l’agenzia Brest, per la quale lavoravo aveva, sede poco lontano esattamente in via Ghislanzoni che dista poche centinaia di metri.
Vedemmo il fumo e ci precipitammo. Arrivando incrociammo, sotto la sede della Regione Lombardia, solo poche pattuglie di polizia. Il fuoco usciva dai piani alti, con centinaia di fogli di carta che volavano tutto intorno quasi a sembrare coriandoli. Con me c’erano l’operatore Enea Sansaro (attualmente in grande spolvero professionale nel reality Pechino Express) e l’assistente
Antonella Marzocca (divenuta solida professionista al montaggio di RAI Milano) e subito cominciammo il lavoro di ripresa, la ricerca delle notizie e delle reazioni.
Non mancarono le une e le altre. Luigi Fasulo, questo il nome dell’uomo che condusse l’areo contro il grattacelo compiva quell’atto circa un anno dopo i fatti cruenti delle Torri Gemelle di New York e la sindrome dell’attentato, in un primo momento, s’impose con dichiarazioni dei politici (subito accorsi) tutte improntate sul versante del complotto.
La verità sul fatto si manifestò solo molte ore dopo, cioè Fasulo aveva agito con molta imperizia. Tuttavia, restò presente nei giorni successivi l’ipotesi di un gesto deliberato con l’intenzione di suicidarsi. L’aereo penetrato negli uffici provocò la morte di Alessandra Santonocito e di Annamaria Rapetti, due avvocatesse che lavoravano a Regione Lombardia. I feriti furono 60. Per noi giornalisti da quel pomeriggio e nelle ore seguenti fu un continuo andirivieni per cercare di mantenere i contatti con le redazioni. Cosa difficilissima anche perché l’intera zona venne recintata dalle forze dell’ordine e tutte le linee di telefonia mobile erano completamente fuori uso.
Per mandare i dispacci e fornire le notizie bisognava arrangiarsi. Mentre Enea e Antonella pensavano alle immagini, mi ingegnai bussando alla porta di un signore che stava ad una finestra che dava su viale Tunisia. Gli chiesi di usare il suo telefono di casa. Fortunatamente trovai comprensione e dettai il mio servizio. Alle ore 18:05, lo ricordo ancora. Cioè, circa 20 minuti dopo il disastro.
Prima chiamai la Brest e poi Radio Lombardia, con cui collaboravo come cronista sportivo. In postazione c’era già il direttore, Luca Levati. Credo che per quel lavoro vi sia il merito della messa in onda di una piccola esclusiva. Per la quale venimmo poi elogiati. Con l’andare delle ore, una volta ripristinato l’uso del cellulare, fummo in grado di mandare in onda dirette ogni quarto d’ora.
La curiosità in quel frangeste e se volete, pur in quei momenti bui, una nota di colore si ebbe quando scoprimmo che Roberto Formigoni, allora presidente della Lombardia (e sempre pronto a gigioneggiare davanti ai microfoni) si trovava in India, a migliaia di chilometri di distanza. Qualche collega ironizzò dicendo che se il Celeste non era avvezzo alle imprecazioni sicuramente avrà avuto qualcosa da dire almeno contro la dea Kalì. Al suo posto, dobbiamo dire, che se la cavò egregiamente la sua vice, Viviana Beccalossi.
Per noi della Brest fu una giornata molto proficua editorialmente oltre che giornalisticamente. I nostri uffici vendettero decine di girati a tutte le televisioni del mondo, dalle americane, alle britanniche per non parlare delle sudamericane che per giorni ci chiesero aggiornamenti sugli sviluppi della tragedia. Gli appunti di merito, nel ricordare una difficile esperienza di lavoro, vanno soprattutto indirizzati a chi ha lavorato senza sosta al mio fianco, cioè ai colleghi Enea, Antonella e Luca che mi hanno sostenuto in ogni fase, anche in quelle più complicate.