La lezione di Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico
di Patrizia Rulli
“Nell’ottobre del ‘62, con la crisi dei missili di Cuba, il mondo percepì la bomba atomica come un pericolo reale. Era la più grave crisi internazionale del dopoguerra. Si arrivò a un passo dal conflitto nucleare. Avevo letto Essere o non essere del filosofo Günther Anders, un diario del suo viaggio in Giappone alla scoperta degli effetti della bomba atomica. Sono sempre sconvolto dal fatto che molti oggi ignorano che la bomba atomica è già stata impiegata. In quell’anno, io mi sono fermato, e sono ancora fermo lì.
L’anno dopo avrei fatto obiezione di coscienza al servizio militare: avevo capito che il problema non è di difendere la patria ma di salvare il mondo.” Questo è uno stralcio della lezione di Giuseppe Gozzini agli obiettori di Pesaro. Beppe, come tutti lo chiamavamo, scelse di essere lì con loro mentre la nostra Amministrazione gli conferiva l’onorificenza cittadina Spiga d’Oro 2004.
Gozzini era cinisellese ma da molti anni non abitava più qui e in pochi lo ricordavano, finché nel 2002 il nostro giornale pubblicò un articolo di Fabio Brioschi. Incuriosito da un riferimento alla sua vicenda in un libro di P. Sansonetti sul ’68, aveva deciso di intervistarlo (l’articolo fu ripreso dal Diario di E. Deaglio). È grazie a questi scritti che alcune personalità cittadine legate al mondo cattolico decisero di presentare la sua candidatura alla Spiga D’Oro, che gli fu assegnata con questa motivazione: “Per essere stato nel ‘62 il primo obiettore di coscienza cattolico, un testimone che ha fatto della non violenza un principio fondamentale della propria vita, con un impegno costante contro la guerra promuovendo una cultura di pace […]”. Lo conobbi in quell’occasione e poco dopo il rapporto con Beppe, da istituzionale, diventò anche personale; ma forse per lui nessun rapporto era mai veramente solo istituzionale. Nello scambio di pensieri scritti usciva sempre la sua capacità di toccare il fondo delle cose.
Conservo gelosamente alcune sue lettere che sono per me un bellissimo ricordo; in questi tempi difficili mi capita di pensare cosa avrebbe detto di ciò che sta accadendo. Quanto ci mancano le sue riflessioni, la sua onestà intellettuale, la sua solida certezza che l’unica strada da percorrere è quella della pace. Figura di grande rigore morale, alla forza delle idee accostava modestia e ritrosia nell’apparire, tratto distintivo dei più grandi. È stato un modello dell’antiretorica nel modo di pensare e vivere i rapporti con gli altri. Sempre ai margini o estraneo ai tanti luoghi comuni delle culture di massa, purtroppo non ha visto riconosciuto il suo impegno, nonostante abbia contribuito alla realizzazione di conquiste di grande civiltà. Mi piace ricordarlo con questa sua riflessione: “Io penso che l’obiezione di coscienza non è solo quella al servizio militare: ogni volta che un uomo rifiuta di diventare complice di una situazione ingiusta, di eseguire comandi o compiere azioni contrarie ai suoi principi, si ha obiezione di coscienza. In questo senso obiettori lo si è nella vita, nella scuola, sul lavoro, in famiglia, nei rapporti sociali, nell’attività politica”.
Sin da giovane era animato da profondi sentimenti di giustizia e uguaglianza. Crebbe nell’ambiente dell’oratorio San Luigi e della Coop. La Nostra Casa, inserito, anche se criticamente, all’interno di Azione Cattolica. Diede vita, insieme ad altri, alla Fondazione Centro Studentesco. Il suo essere cattolico si esplicava con la fermezza e la coerenza che lo contraddistinguevano. Organizzava campeggi estivi, un giornalino, spettacoli teatrali e il primo cineforum cittadino di film impegnati. Già allora le sue posizioni e le sue azioni lo ponevano come un elemento di innovazione all’interno di un mondo cattolico ancora legato a una visione conservatrice della società. Gli amici lo ricordano come una persona profonda che parlava solo di cose importanti, di politica, di filosofia e che rifuggiva dalle futilità.
Venne presto in contatto con ambienti milanesi cattolici progressisti e pacifisti; frequentò la Corsia dei Servi a Milano, nota per le posizioni di apertura al mondo laico, fondata dai padri David Maria Turoldo e Camillo De Piaz. Lì conobbe, tra gli altri, don Primo Mazzolari. Iniziò il suo percorso di formazione fatto di letture e incontri con i movimenti pacifisti, esperienze che lo porteranno a orientarsi verso la nonviolenza. Partecipò ai campi di lavoro del Servizio Civile Internazionale, dove conobbe Danilo Dolci. Nelle parrocchie e nelle sedi del PCI organizzava proiezioni di documentari giapponesi sugli effetti delle bombe atomiche di Hiroshima e
Nagasaki. In previsione della chiamata alle armi, discuteva con gli amici sulla sua convinzione di optare per l’obiezione di coscienza. Alcuni di loro, preoccupati per i rischi, cercavano di dissuaderlo; Piero Scaramucci (fondatore di Radio Popolare) non condivideva sul piano politico quella scelta, mentre Paola Ciardella (conosciuta in una sezione del PCI, sua futura moglie) ne rimase affascinata. Confortato dalla preghiera, dissipò ogni dubbio: il 13 novembre ‘62, chiamato alle armi, si recò al Car di Pistoia e rifiutò di indossare la divisa militare in coerenza con la sua fede. Una scelta che a quei tempi equivaleva a reato militare.
Fino ad allora gli obiettori erano stati anarchici o Testimoni di Geova; i cattolici, assenti dai movimenti per la pace e il disarmo, non si ponevano il problema del rifiuto del servizio militare. Incarcerato a Firenze, il 18 novembre fu trasferito nel reparto neurologico dell’ospedale militare, dove cercarono di fargli firmare una dichiarazione di infermità mentale. A seguito del suo rifiuto, il 24 novembre fu nuovamente incarcerato. Il 20 dicembre la prima udienza del processo suscitò scalpore e creò un caso mediatico di notevoli proporzioni. Uscirono centinaia di articoli su giornali italiani e stranieri (perfino The Times ne parlò). Si organizzarono dibattiti, manifestazioni, veglie di preghiera e digiuni. Mai in Italia si era visto un giovane cattolico disobbedire in modo così intransigente a un’istituzione dello Stato. La seconda udienza si svolse l’11 gennaio ‘63, in un’aula piena di amici e simpatizzanti, giornalisti e fotografi.
Testimoni al processo furono, tra gli altri, don Germano Proverbio e Aldo Capitini. Nonostante l’estesa mobilitazione del mondo pacifista, Gozzini fu condannato a 6 mesi senza la condizionale (in seguito sarà amnistiato). Il caso esplose clamoroso a ridosso del Concilio Vaticano II, in un contesto internazionale delicato per i rischi di una guerra mondiale con armi atomiche. La presa di posizione di alcuni noti personaggi del mondo cattolico diede eco al processo. Prese le sue difese il sindaco di Firenze Giorgio La Pira che, con un atto di disobbedienza civile, fece proiettare il film censurato Non uccidere di Autant-Lara, censura che aveva suscitato l’indignazione di Sandro Pertini che, con altri socialisti, aveva presentato un’interrogazione parlamentare.
Si schierarono con lui anche padre Balducci e don Milani, contestati da alcuni ambienti cattolici. Balducci fu denunciato per un articolo apparso su La Nazione e condannato a 8 mesi. La condanna fece clamore, coinvolgendo prelati, teologi, intellettuali, giuristi, giornalisti e alcuni parlamentari che avevano proposto disegni di legge sull’obiezione di coscienza. L’11 febbraio ’65 i cappellani militari in congedo della Toscana gettarono disprezzo sugli obiettori di coscienza con una lettera a La Nazione. Insorse don Milani, che rispose con una lettera pubblicata su Rinascita.
Mai era stato scritto un testo antimilitarista così argomentato, e per di più da un prete. Dalla lettera scaturirà il libro L’obbedienza non è più una virtù, testo fondamentale dell’antimilitarismo di ogni epoca. Denunciato alla Magistratura, don Milani, da tempo malato, mandò una lettera di difesa (propria e della libertà di coscienza) ai giudici, che lo assolsero in primo grado. Morirà prima della sentenza d’appello. Il mondo cattolico cinisellese contestò la scelta di Gozzini con un articolo sul giornale locale Luce, adeguandosi così alle posizioni conservatrici della Chiesa.
Seguì una lettera di risposta di un gruppo di amici in suo sostegno, che però non fu mai pubblicata. Si estese nel Paese l’adesione al movimento antimilitarista; dalla scelta di Gozzini partì una grande campagna per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza, alimentata da decine di altri casi di obiettori, cattolici e anarchici, che rifiutarono il servizio militare in nome del pacifismo, finendo a loro volta in prigione. Nel ’72 fu finalmente approvata la legge 772 sull’obiezione di coscienza, ben dieci anni dopo il caso Gozzini e ventiquattro dopo quello di Pietro Pinna, antimilitarista, primo obiettore di coscienza in Italia.
Per approfondire: P.Rulli, biografia integrale online di G.Gozzini (14 luglio 1936 – 13 maggio 2010): https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article633 (a cura di) P.Scaramucci, L.Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore. Giuseppe Gozzini (raccolta degli scritti), Edizioni dell’Asino, Roma, 2014.
Grazie a Paola Ciardella, Letizia Gozzini, Fabio Brioschi, Luigi Sala, Renato Seregni, Billie Lamorte, Gabriella Milanese.