Emozione e applausi al Pax per l’amore di Lazzaro
di Andrea Ciaramella
La Compagnia del Borgo ha riportato in scena – regia di Raffaele Moschella – il tradizionale momento di riflessione quaresimale che si teneva al Pax poco prima di pasqua. Una tradizione questa volta adattata su un testo del poeta libanese Gibran “Lazzaro e il suo amore”, che racconta della vita del miracolato dopo la resurrezione. La scena, essenziale e minimalista, è interamente occupata dagli attori racchiusi in una loro intimità, e dalla croce, che si erge centrale sul palco, a rappresentare che tutto verte intorno alla figura di Cristo, pur non apparendo mai in scena.
Si ode solo una voce fuori campo, quella del principio, come un ricordo, un eco lontano, che rammenta a Lazzaro e agli spettatori quale dono gli sia stato dato, eppure agli occhi dell’amico, un miracolo non pare. Da qui prende avvio la sequenza narrativa degli eventi, in contemporanea alla crocifissione di Cristo, e mentre il loro maestro muore, gli attori entrano sul palco in una processione solenne dalla platea, salutano e abbracciano la croce, e ciascuno rivive gli attimi di quell’episodio che ha cambiato la loro vita; poi, tutto cambia quando entra Lazzaro, interpretato dallo straordinario e talentuoso giovane attore Pierre Vuillermoz, assente e a tratti nostalgico, racchiuso in un dolore più grande di loro, quasi alla ricerca di un proprio posto.
Vuillermoz rende egregiamente il grande dramma interiore che accompagna Lazzaro, tormentato e desideroso di rientrare in quella Eternità – la sua amata – dal quale l’amico Gesù l’ha strappato. Pare, durante lo svolgersi della rappresentazione, che Lazzaro sia infelice e che maledica persino l’amico per avergli rivolto tale miracolo, tanto da definirsi il “primo dei martiri”. A consolare, o quanto meno provare ad entrare nel cuore angosciato del fratello, è la sorella Maria – che i Vangeli sinottici identificano come colei che rivolse a Gesù la preghiera e il desiderio di far risuscitare Lazzaro – interpretata dalla meravigliosa Angelica Zaccaro.
Accanto alla sorella, che rappresenta la vita contemplativa e il desiderio umano di raggiungere le altezze dei cieli, si accosta – con una dimensione più terrena, concreta, laboriosa, tanto che durante tutta la rappresentazione esegue un lavoro ad uncinetto – la sorella di Maria e di Lazzaro, Marta, interpretata da Nicole Barzetti, anche lei eccelsa. Tra tutti spicca sicuramente anche il ruolo della madre di Lazzaro, della quale non sappiamo il nome, interpretata da Raffaella Venezia, magistrale nel rendere struggente la passione interiore e il calvario che accompagna la madre, forse consapevole dopo la risurrezione, di aver perso il figlio amato, tanto che si metterà Lazzaro stesso alla sequela dell’annuncio della Risurrezione di Gesù, lasciando – o così facendoci immaginare – la casa familiare.
Da cornice – anche se ha un forte impatto scenico, e un ruolo sicuramente primario – è il ruolo del “Folle”, un personaggio mistico, spiritico, invisibile agli occhi dei personaggi, eppure a tratti quasi percepito da Lazzaro, che guida e interagisce con lo spettatore ad entrare in quel mondo che vedono gli occhi di Lazzaro, quasi bramoso di ritornare a quell’amore dal quale è stato separato. Il “Folle”, interpretato da Ilaria Moschella, figlia del regista, è un personaggio allegorico, e la giovane attrice rende in maniera sublime questo difficile ruolo, con i suoi movimenti, con la padronanza del palco, nell’interazione con il pubblico, e nel creare quel mondo utopistico, quel “cielo” che Lazzaro vuole rappresentare ai suoi familiari, incapaci di vederlo, perché non hanno vissuto l’esperienza della risurrezione.
In questo dramma, l’autore e poeta libanese Gibran, ben interpretato nel suo pensiero e stile dal regista che perfettamente inquadra gli attori e la scenografia, le musiche e le luci, lascia che lo spettatore rifletta sull’effettivo valore, o su cosa implichi, il principio di “risurrezione”: da quest’evento, Lazzaro ne esce cambiato e maturato nella fede, riconosce nel suo Maestro non più l’amico di infanzia che aveva invitato a cena sei giorni prima di morire, ma riconosce quel Signore e Salvatore chiamato a portare salvezza nel genere umano, e forte di questa convinzione, indichi al suo Signore che la via della croce si ripeterà sempre nel genere umano, e che sempre ci sarà bisogno di risorgere. Morire e risorgere ogni volta che il cuore dell’uomo si allontana dalla sua amata, dall’Eternità; morire e risorgere ogni volta che nel mondo ci sono venti di guerra, violenze, disparità di genere, abusi di ogni genere; morire e risorgere ogni qualvolta ognuno di noi si piega agli idoli, che sostituiscono Dio nel cuore.
Al termine di un’abbondante ora di spettacolo, il sipario si chiude e gli applausi piovono scroscianti, sugli attori e il regista visibilmente emozionato. Chiama sul palco tutti gli attori (menzione d’onore per il cameo di Luca Valerio, che interpreta l’apostolo Filippo, che porta agli amici di Gesù, prima che Lazzaro parta, l’annuncio della risurrezione del loro maestro), e i suoi collaboratori – Graziella Benvenuto, Maura Barzetti, Cinzia Stori, Antonella Trevisol, Rosanna Moschella, Lina La Licata, Gianna La Licata – tecnici, luci, musiche, le fotografie, e i costumi.