Nome di battaglia Mirco, l’ultimo partigiano di Cinisello Balsamo
Oltre il cancello chiuso, sul muro di uno spazio ormai vuoto, o per meglio dire sgomberato, si scorge il volto di Gaetano Latino. Il murale che lo ritrae è ancora lì. Fino a un anno fa quel luogo era un pullulare di vita e di iniziative organizzate dal Collettivo 20092, che aveva voluto omaggiarlo in questo modo, poco dopo la sua scomparsa. Avendolo conosciuto, all’inaugurazione mi ero immaginata la sua felicità nell’essere ricordato dai giovani.
Il 26 febbraio 2016 ci lasciava l’ultimo partigiano di Cinisello. Mirco era il suo nome di battaglia ed era inquadrato nella 104^ Brigata Garibaldi SAP Gianni Citterio. La sua vita fu caratterizzata da un forte senso di responsabilità civile e sociale. Le motivazioni per l’assegnazione della Spiga d’Oro 2006 ben riassumono il senso e il valore del suo impegno: “Ammirevole il suo intenso e continuo impegno politico, sindacale e sociale nella nostra città. […] Un testimone coerente dei valori di libertà e di democrazia espressi nella Resistenza come partigiano e trasmessi ancora oggi con passione alle nuove generazioni attraverso la sua attiva presenza in ambito educativo e formativo”. I suoi ideali erano l’antifascismo, l’opposizione alla violenza e alla guerra, la difesa della Costituzione. All’interno di questi valori operò le sue scelte, a volte apparentemente contraddittorie e in contrasto con la sua appartenenza partitica, in realtà assolutamente coerenti con il compito che si era assegnato.
Dopo la Resistenza, memorabile fu per lui l’esperienza all’interno del Movimento dei Partigiani della Pace. Il Movimento della Pace cittadino delegò Latino (Fronte della Gioventù) e Cesare Caimi (Partito Comunista) a partecipare al primo Congresso Mondiale per la Pace di Parigi del 1949. Erano presenti 2287 delegati di 72 Paesi; la delegazione italiana era guidata da Pietro Nenni. L’impegno del Movimento fu indirizzato fondamentalmente all’interdizione dell’arma atomica e all’incontro delle cinque grandi potenze per un patto di pace che evitasse un nuovo disastroso conflitto. Pablo Picasso dipinse il manifesto del congresso, la famosa Colomba della pace. Nello stesso periodo il Parlamento italiano doveva pronunciarsi per la ratifica del Patto Atlantico. L’1 maggio di quell’anno fu promossa una petizione contro l’adesione alla NATO. Il questore di Milano vietò la raccolta di firme; nonostante ciò, in due mesi, se ne raccolsero 6.300.000. Il Movimento della Pace era molto sentito dai cittadini, appena usciti da un conflitto terribile, e la partecipazione alle manifestazioni era molto forte anche nella nostra città. “Una manifestazione veramente grande si tenne al nostro rientro a Cinisello presso il campo sportivo di via Monte Ortigara, – scriveva Latino – dove relazionammo sulla nostra partecipazione al Congresso. Non posso descrivere la mia emozione nel trovarmi a parlare di fronte a una moltitudine di gente della mia città”.
Dal dopoguerra alla prima metà degli anni Cinquanta, Latino militò nel Partito Comunista, partecipando alle lotte per la salvaguardia del posto di lavoro. Dal 1956 iniziò un processo di allontanamento graduale che lo portò ad avvicinarsi alle posizioni dei movimenti nati col Sessantotto e in seguito ad alcune formazioni partitiche nate da quell’esperienza. Negli anni Settanta fu anche consigliere comunale. Se questo percorso politico viene accostato al suo impegno in campo sociale, emerge chiaramente la sua volontà di rimanere fedele alle sue scelte originarie di difesa degli ideali della Resistenza e di protezione delle fasce sociali più deboli: la fondazione dell’AUSER cittadino, l’ideazione dell’attività “nonni amici” e la testimonianza dell’esperienza antifascista, portata nelle scuole all’interno di un progetto educativo dell’ANPI, ne sono una concreta dimostrazione. L’impegno nei confronti dei giovani per testimoniare i valori della Resistenza fu forse il tratto che più lo distinse negli ultimi anni della sua vita. Nei suoi interventi agli studenti diceva: “Fare una ricchezza di tutte le peripezie è un po’ difficile, però con la buona volontà si riesce. Io ho appreso dai partigiani alcuni valori che erano tutto il contrario di quello che avevo imparato da avanguardista durante il fascismo. I valori che ho incamerato sono l’altruismo, la solidarietà e soprattutto il voler bene ai miei simili, a cui ho dedicato tutta la mia esistenza”.
Gaetano era una persona aperta al dialogo, disponibile ad ascoltare tutti, anche i più giovani, in nessun modo compiaciuto di se stesso. Si opponeva ai suoi avversari politici con la serietà delle sue motivazioni e il suo sorriso mite. Un sorriso lieve che nasceva da una visione ottimistica del futuro e da una serenità d’animo originata dalla consapevolezza di aver attraversato la vita senza tradire i suoi valori per interessi di potere o per denaro. Il richiamo all’onestà era costante nel suo rivolgersi ai giovani, così come l’invito a studiare per acquisire le conoscenze che permettono di operare scelte consapevoli. E ben lo sapeva lui che a quella consapevolezza era invece giunto attraverso l’incontro con la violenza e la paura.
Era il 2002 quando conobbi il partigiano Mirco, che nulla aveva del reduce anziano, di quelli che raccontano con vanto la loro storia. Mi ritrovai a fianco solo Gaetano, Nino per gli amici, un uomo semplice, simpatico, curioso, con la voglia che gli leggevi negli occhi di conoscere la persona che aveva di fronte, anche se più giovane e con meno esperienza. Per primo aveva voluto con forza promuovere il progetto che avrebbe portato lui e il professor Morandi a incontrare centinaia di studenti. In un tempo in cui l’ANPI prediligeva impegnarsi maggiormente nelle commemorazioni, lui aveva capito, prima di tanti, quanto fosse importante la strategia della memoria: quel momento irripetibile che possono vivere i giovani ascoltando la storia direttamente da chi l’ha vissuta, un’esperienza che rimane indelebile, più di tutte le pagine dei libri di storia. Con i ragazzi sapeva, come pochi, instaurare un rapporto empatico e coinvolgente, soprattutto perché ancora ci credeva: credeva di aver fatto la sua parte ribellandosi al fascismo, così come, dopo la Liberazione, aveva creduto nelle battaglie per la pace e per la difesa dei lavoratori. In particolare era orgoglioso del suo ultimo impegno “pieno di solidarietà”, come amava dire: la fondazione dell’AUSER. Ed era soprattutto convinto che fosse merito della sua lotta, dei rischi che aveva corso, lui come tutti gli altri partigiani, se gli italiani avevano potuto conquistare il diritto di scrivere la propria Costituzione, privilegio che non sarebbe toccato a un Paese vinto. Con la guerra di Liberazione avevano ridato dignità alla nazione. Era quella Carta che agitava, verso la fine degli incontri, mostrandola agli studenti ed esortandoli a impegnarsi per difenderla. Lui, che aveva conosciuto un mondo senza libertà, voleva far capire ai ragazzi quello che diceva Piero Calamandrei: “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.
Me lo ricordo sul palco in piazza Gramsci parlare di Resistenza, tra gruppi di musica rock e pop, perfettamente a suo agio in mezzo a tanti giovani che potevano essere suoi nipoti. Sembrava ed era uno di loro. Per tante ragioni Gaetano era più avanti di tutti noi, più avanti sicuramente di me che, credendolo immortale, non gli avevo dato subito la debita attenzione quando chiedeva insistentemente che venisse registrato un suo intervento affinché la sua testimonianza non si disperdesse. Me lo ricordo entrare nel mio ufficio con la borsa sotto braccio, me lo ricordo togliersi il cappello, aprire la minuscola agendina per concordare con me gli appuntamenti nelle scuole. Inevitabilmente finivamo per parlare di qualche episodio della Resistenza; io volevo sapere di più e gli facevo tante domande e lui era sempre disponibile. Me lo ricordo andare via con quel suo sorriso, il sorriso di un uomo buono. Prima la malattia e poi la morte lo hanno portato via troppo presto. Troppo presto abbiamo perso il privilegio di ascoltarlo, di averlo a fianco nelle nostre battaglie, troppo presto ha finito di raccontarci del San Martino, dei suoi amici uccisi in quella terribile battaglia e di tante altre storie di giovani coraggiosi come lui che erano stati meno fortunati. Troppo presto Gaetano!!
G. Milanese, P. Rulli (a cura di), GAETANO LATINO. Dalla Resistenza all’impegno politico, sindacale e sociale. LA STORIA DI UN INCORREGGIBILE OTTIMISTA. Autobiografia di Gaetano Latino. Fotografia di Giorgio Benatti.