L’aggressione di Cinisello e il ruolo dei genitori nel calcio
di Daniela Gasparini
Gli episodi di violenza nei campi da gioco purtroppo non sono una novità, ma quando i protagonisti sono i genitori dei giovani atleti, il problema assume una dimensione ancora più preoccupante. Prendendo spunto da quanto accaduto sabato scorso a Cinisello Balsamo, dove una partita di calcio under 16 (tra Città di Cinisello e Ausonia Academy) è degenerata con l’ingresso in campo dei genitori che hanno aggredito l’arbitro e persino i giovani calciatori, è importante riflettere sul rapporto tra genitori e figli nello sport.
Il calcio, come molti altri sport, rappresenta per i giovani un’occasione di crescita, di confronto e di apprendimento. È un luogo dove si imparano il rispetto delle regole, la disciplina e il valore della squadra. Eppure, troppo spesso questi valori vengono traditi proprio da chi dovrebbe invece sostenerli e insegnarli: i genitori. Quando gli adulti si lasciano trasportare dalla frenesia della competizione e dalla sete di vittoria, dimenticando il vero significato dello sport, il messaggio che viene trasmesso ai figli è tutt’altro che educativo.
L’episodio di Cinisello è solo uno dei tanti esempi di come i genitori possano diventare i peggiori nemici dello spirito sportivo. L’aggressione ai preparatori e l’assedio alla zona tecnica mostrano una totale mancanza di rispetto per il gioco e per gli avversari, ma soprattutto per i giovani in campo. Questo comportamento invia un messaggio preoccupante ai ragazzi: che il conflitto e la violenza sono accettabili come mezzi per ottenere ciò che si vuole.
E allora, quale insegnamento stiamo dando ai nostri figli? Quando i genitori invadono il campo per protestare o peggio ancora, per aggredire, stanno trasmettendo il concetto che la competizione può giustificare ogni azione, anche la più scorretta. Così facendo, si distrugge lo spirito del gioco, trasformando lo sport in una battaglia dove l’obiettivo è schiacciare l’avversario anziché rispettarlo.
Il compito dei genitori dovrebbe essere un altro. Essi dovrebbero essere i primi tifosi dei propri figli, pronti a sostenerli nei momenti di successo come in quelli di difficoltà. Dovrebbero essere i promotori di valori positivi, come la lealtà, il rispetto delle regole e dell’avversario, la capacità di accettare la sconfitta e di imparare da essa. Lo sport può essere un potente strumento educativo, ma solo se i genitori capiscono il loro ruolo: non quello di allenatori o arbitri, ma di guide morali.
È necessario un cambiamento di mentalità. I genitori devono capire che i campi da gioco non sono arene dove sfogare le proprie frustrazioni o ambizioni irrealizzate. I bambini e i ragazzi guardano, ascoltano e imparano dai comportamenti degli adulti. E se questi comportamenti sono violenti o scorretti, non ci si può aspettare che i giovani crescano con valori diversi.
Pertanto, chiediamoci: che tipo di esempio vogliamo dare ai nostri figli? Vogliamo che crescano pensando che la violenza e la prepotenza siano la strada per il successo? Oppure vogliamo educarli al rispetto, alla correttezza e alla capacità di competere con integrità? La scelta è nostra, e il futuro dei nostri figli dipende da essa. Solo cambiando il nostro atteggiamento potremo sperare di vedere un cambiamento reale nei campi da gioco e, più in generale, nella società.