Pendolari stipati, ritardi e disagi. Cronaca di un viaggio da incubo
Il treno delle otto e venti del mattino diretto a Milano-Cadorna arriva alla stazione di Cormano-Cusano Milanino con quindici minuti di ritardo. E’ già colmo, si sale a fatica, spingo, chiedo scusa e cerco uno spazio dove affrontare il viaggio in cui mi sia garantita una porzione d’aria. Attorno a me un muro di persone. Qui dentro, stipati come bestiame, diventiamo pendolari e quindi come per paradosso alcuni dei nostri diritti decadono, come quello arrivare al lavoro in modo confortevole e puntuale.
Qui dentro, in carrozza, diventiamo massa di individui, che pur pagando la corsa, si sottopone quasi rassegnata e stanca a una gogna quotidiana, capace di sopportare ritardi, soppressioni di corse e molti altri disagi con tempra tutta meneghina e con garbo, come se fosse ormai impossibile vedere i convogli di Trenord funzionare prima o poi con parametri nord europei.
Ad ogni fermata il treno accumula qualche minuto di ritardo. C’è altra gente che deve salire e fatica a farlo. Una scolaresca delle elementari in gita verso qualche museo del centro di Milano, cerca di infilarsi in qualche modo. I bambini timidamente si stipano in spazi minuscoli rimasti qua e là, le maestre visibilmente preoccupate provano a tenerli compatti. “Ma che succede oggi?” si chiedono.
“Non oggi ma tutte le mattine”, risponde una signora che alza per un attimo lo sguardo dal suo smartphone con un’occhiata maligna verso l’insegnante. “Come si fa a portare una scolaresca sul treno dei pendolari. Non lo sanno il casino che c’è?”, sembra voler dire la donna.
Dal fondo della fila, qualcuno che è ancora fuori dal treno, urla e chiede di entrare, di occupare tutti gli spazi disponibili, di permettere agli altri di salire. Ma di spazio non ce n’è più. Fuori, in testa al convoglio, il capotreno attende di poter chiudere le porte per ripartire. Ma la cosa è ancora lunga, qualcuno protesta, qualcun altro rinuncia e si allontana. In qualche modo ci si fa spazio.
La mia porzione d’aria si fa ancora più rarefatta. Sto in piedi, sostenuto da altri corpi. Nessuno più riesce a tenere in mano il telefono, c’è troppo poco spazio. Noto una ragazza sospirare, cercando forse di prendere ossigeno, è palliduccia, se svenisse non mi meraviglierei. Ma non accade, per fortuna.
Tengo duro, d’altra parte si tratta solo di qualche altro minuto. Mi ero portato un libro, che però resta nello zaino e così penso e ripenso a questi “dannati” treni, che prendo da una vita e che non cambiano mai. Anzi peggiorano. Peccato perché sulla carta da Cormano in 17 minuti dovresti arrivare nel centro di Milano.
Ma non accade quasi mai. Finalmente il treno arriva alla stazione di Cadorna, si aprono le porte, una fiumana di gente invade la banchina e a passo sostenuto cerca l’uscita. Qualche metro più in là il viaggio da incubo è già dimenticato. Se ne riparla questa sera, quando ci toccherà di riprendere il treno per provare a tornare a casa.