3 Marzo 2025

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Nel dibattito sull’allevamento i grandi assenti sono gli animali

di Annamaria Manzoni
psicologa e scrittrice
annamariamanzoni.blogspot.it

In questi giorni si stanno susseguendo notizie su una costruzione, destinata, pare, a fungere da allevamento di ovini e caprini sul territorio di Paderno Dugnano, confinante con i comuni di Cinisello Balsamo e Cusano Milanino, sulla scorta di autorizzazioni rilasciate nel 2024. Le preoccupazioni dei cittadini si sono concretizzate nella richiesta di precisazioni e proteste, espresse essenzialmente attraverso il megafono di associazioni ambientaliste, Legambiente in primis, e sedi locali di partiti, quali AVS.

Proteste motivate in nome dei danni all’ambiente e delle complesse conseguenze ecologiche, su cui l’Amministrazione padernese dà rassicurazioni, parlando di “rispetto dell’ambiente e della biodiversità”, “compatibilità con la normativa vigente”, ”integrazione paesaggistica” e via dicendo. Parole a parte, si tratta di un incredibile ritorno al passato, con lo smantellamento delle convinzioni che, nel corso dei secoli, hanno portato ad allontanare dai centri abitati strutture di detenzione di animali, tanto più della loro macellazione, a proposito della quale la succitata Amministrazione afferma non esserci ad oggi richieste di effettuarla in loco.

In tutto questo, grandi assenti, convitati di pietra, inascoltati, invisibili, reificati nella considerazione di tutti, sono gli animali, pecore e agnelli, capre e capretti. Assenti nel bilancio delle decisioni e delle proteste, nonostante siano loro i soggetti di questa iniziativa insensata e siano le loro vite e le loro morti ad essere messe in gioco: nell’indifferenza generale a quanto risulta.

La prospettiva abbracciata, ahimè, è quella di sempre, quella per cui l’unico interesse degno di attenzione è quello umano: una prospettiva antropocentrica in cui noi umani ci consideriamo l’unica misura del bene e del male, gli unici portatori di interessi da salvaguardare; è in questa ottica che gli unici oggetti del dibattito appaiono essere le preoccupazioni riferite ai danni ambientali e ai loro inevitabili contraccolpi sul benessere umano, dal momento che la nostra casa ideale sarebbe un territorio il meno contaminato possibile, sano, pulito.

Altre considerazioni invece, a mio avviso, dovrebbero entrare a gamba tesa nel dibattito: a partire da una domanda banale: perché un altro allevamento? Giusto per citare alcune situazioni: sappiamo dai dati ISTAT che in Italia il consumo di carne di agnello dal 2001 al 2023, pur restando molto elevato, si è letteralmente dimezzato. Sappiamo che in Gran Bretagna è stata decisa la chiusura di Smithfield e Billingsgate, due dei più grandi mercati all’ingrosso di carne e di pesce, simboli del commercio alimentare della città di Londra per oltre otto secoli. Motivo? Crollo delle vendite. Sappiamo che i nostri supermercati hanno dovuto, alcuni con convinzione altri pressati da considerazioni economiche, aprire le porte e offrire gli scaffali a prodotti vegani, vista la crescente domanda dei clienti, speculare alla diminuzione della richiesta di prodotti di origine animale.

Intestandosi anche parte del merito di avere sdoganato un termine quale “vegano” fino a pochi anni fa avvolto nell’incomprensione dei più. Tutti elementi che testimoniano nel mondo occidentale una sensibilità in ascesa verso un sistema alimentare diverso, che va trasformandosi in direzione di produzioni e consumi di cibi vegetali, che liberi miliardi di animali dalla crudeltà dell’industria zootecnica. Un passaggio che rappresenta l’adesione a nuovi valori e priorità della società.

Il nostro mondo in enorme rapidissima evoluzione deve fare propria una riconsiderazione del rapporto tra noi umani, gli altri animali e l’ambiente: una nuova filosofia sta accreditandosi, quella che parla della necessità di rivalutare e rimodellare questo rapporto: in cerca di forme di rispetto che finalmente scalzino la nostra specie umana dalla posizione di padroni assoluti dell’intero pianeta, posizione da cui, per altro, questo pianeta lo stiamo distruggendo, maltrattando, umiliando in mille modi.

E un’altra considerazione si impone: pecore e capre non vengono allevate per farci godere della loro compagnia, ma per produrre agnelli e capretti che, a poche settimane di vita verranno strappati, disperati e urlanti, alle loro madri, caricati sui camion e portati al macello, dove verranno sgozzati in un’orgia di sangue, di cui i filmati facilmente reperibili online danno fedele testimonianza: roba da stomaci forti, certamente, ma indispensabile per acquisire conoscenza delle conseguenze delle proprie scelte.

Il latte loro destinato, ma loro sottratto, verrà quindi usato per produrre formaggi, tipo quelli prodotti dall’Agriturismo Ranza (quello che commissiona la costruzione in oggetto), che sul proprio sito vanta, “un laboratorio di produzione e il macello certificato con bollo CEE” e tanto basti per “garantire personalmente la genuinità di ogni prodotto”. Davvero vogliamo far finta di credere che basti la certificazione con bollo CEE per ripulire i macelli dall’orrore che li definisce?

L’idea scellerata di un allevamento a poche centinaia di metri dai centri abitati non si limita ad un anacronistico incentivare stili di vita alimentari messi pesantemente in discussione dalle nuove consapevolezze, ma porta con sé la normalizzazione di un atteggiamento di violenza nei confronti degli animali che ne saranno vittime: la presenza di un luogo del genere non può che sdoganare, rendere del tutto accettabile un luogo che è luogo di violenza. Vivere, abitare, camminare a contatto di una realtà di questo genere non può che portare a forme diffuse di desensibilizzazione, destinate a contaminare il proprio modo di essere. Prime vittime ne saranno i bambini, quelli più fragili, che stanno costruendo la loro idea del mondo sul contesto che gli adulti propongono loro come idoneo, normale, giusto. Dal punto di vista della formazione dell’empatia, che è la capacità di riflettere in sé la sofferenza altrui, un vero disastro.

“Stiamo causando la distruzione dei nostri compagni animali e dell’ecosistema circostante, ricercando null’altro che il nostro benessere e il nostro divertimento e per giunta senza essere mai soddisfatti”: almeno l’autorità indiscussa a livello mondiale di uno scrittore quale Yuval Noah Harari dovrebbe indurre a nuovi pensieri e ripensamenti tutti coloro che, in tutta questa vicenda godono di un potere decisionale.

Redazione "La Città"

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