
Successo al Pax per la “via crucis” rivisitata dalla Compagnia del Borgo
di Andrea Ciaramella
Ormai prossimi alla Pasqua e in pieno tempo quaresimale, ieri sera è andato in scena al CineTeatro Pax, il nuovo spettacolo della Compagnia del Borgo, con la regia di Raffaele Moschella e l’aiuto di Dario Pessina, “Via Crucis: i testimoni oculari, muri da ogni parte” liberamente ispirato al libro di Angelo Franchini, autore poliedrico, regista e attore, che nel 2006 lo pubblicò per la prima volta con le Edizioni Paoline (o San Paolo). Lo spettacolo – che si presenta a scena aperta – è essenziale e minimo, ben congeniato, fluido, focalizzando l’attenzione fin dalla prima scena dello spettatore interamente sui personaggi, che attraverso profondi monologhi si alternano sul palco, nel raccontare le varie e drammatiche tappe della via dolorosa.
Eppure, nonostante sia un “dramma sacro” – come il suo originale autore, molto devoto tra l’altro, vorrebbe che venisse definito, – in tutto ciò non appare mai Gesù: o meglio, è un personaggio “visto” non fisicamente, bensì attraverso chi lo vede, Gesù diventa il centro e protagonista di una storia, grazie alle parole degli “spettatori” – i cosiddetti testimoni – dal più famigerato Ponzio Pilato o Giuda, a personaggi meno noti, come la Veronica o il ladrone crocifisso, oppure personaggi nei quali ognuno di noi potrebbe rivedersi, come il cieco nato o l’uomo dei talenti.
Ed è proprio questa sfumatura universale e questo taglio anacronistico a rendere attuale la tragedia e il vissuto dei personaggi che assistono al tormento di Gesù: sul palco, vengono portati i nostri tradimenti, i nostri egocentrismi, i talenti mancati, le cecità mai lavate, e mano a mano che il supplizio avanza, i personaggi portano con sé i dettagli dell’orrore, dal legno della croce, alla corona di spina, passando per i chiodi e il flagello, tutti strumenti – come dicono le voci narranti, quasi delle “muse” come nel teatro greco – creati dall’uomo.
Eppure, nell’0blio più totale, echeggia in ogni scena un sentimento di speranza: nel lugubre scherno dei passanti, nei ricordi nostalgici di Maria e Giuseppe, negli amori finiti, nei risentimenti e pentimenti generali, ci viene ricordato che è proprio dalla croce che si concretizza la salvezza. Un invito quello di ieri sera a guardare oltre i sepolcri che viviamo, e in un tempo lacerato da guerre, divisioni e discordie, in un mondo dove non c’è spazio per abbattere i muri, passa come filo conduttore da storia a storia un presagio di resurrezione.
I canti ebraici, meravigliosamente scandiscono il passare delle scene e creano un ponte ideale tra l’attesa messianica del popolo di Israele, con l’assurda irriconoscibilità di uccidere proprio il loro salvatore e maestro, che sta avvenendo in quegli attimi, alla nostra contemporaneità. In novanta minuti, la Compagnia del Borgo lascia riflettere gli spettatori sul senso e sulla dimensione della passione: uno spettacolo aperto, senza conclusioni, che non rientra in alcun canone evangelico, che prepotentemente sfonda la quarta parete, ed entra in ognuno dei presenti e ci domanda, osservando quegli ultimi momenti della vita di un uomo, che la storia dell’uomo da lì a poco l’avrebbe cambiata, che tipo di testimoni siamo.