
L’eredità politica di Vittorio Trezzi, dal Parco Nord alla città inclusiva
Un’impronta che va oltre la motivazione di quando gli assegnarono la Spiga d’Oro: “Uomo politico, consigliere comunale dal 1953 al 1995 e più volte assessore. Cavaliere del La voro e Cavaliere della Repubblica. A lui va il merito di aver contribuito con la sua azione determinante alla realizzazione del Parco Nord” Vittorio rappresentava ciò che è stata Cinisello Balsamo negli anni che an davano dai ’50 (a tutti i ’60 e oltre) l’incarnazione della rigidità lombarda, ammorbidita con la volontà di risolvere i problemi di chi si apprestava a vivere in un mondo per molti sconosciuto e raramente approcciabile con le proprie singole forze.
A fornire agibilità sociale c’era solo il Comune. Già da tempo aveva messo in piedi una rete di sostegno, alla ricerca di soluzioni per la massa di immigrati che nel giro di pochi anni trasforme ranno (non senza inciampi e dolori) la nostra città da borgo agricolo a numerosa e trasversale comunità. “Lungo ogni strada ci devono essere degli spazi a verde – diceva – dei giardini dove la gente si possa ritrovare e riposare. Gli spazi pubblici al l’aperto devono fornire occasione di socialità”.
Quanti lo hanno conosciuto sanno che la scorza di burbero bofonchiante mostrata in certe circostanze, altro non era che un filtro per non palesare la propria timidezza e un’infinita umanità. Un’umanità fatta propria, attraverso le cose concrete per gente che si affacciava nella nostra città, proveniente da tutti gli angoli della Penisola. Spesso, quelle persone, se non avessero potuto contare sulla solidarietà dei loro paesani o di qualche parente, avrebbero trovato sponda nell’amministrazione comunale e tra i primi, in Vittorio Trezzi.
Come non essergli grati per la trattativa ad oltranza, da lui condotta insieme al Sindaco, Enea Cerquetti, per l’acquisizione di Villa Ghirlanda e del suo magnifico parco con una proprietà che non voleva cederla per ché “…non finisse in mano ai comunisti”. Lo fece anche capendo, che non bastava esprimere accoglienza ma si dovevano assecondare le aspettative di tante giovani famiglie della seconda generazione di immigrati. Personalmente, ricordo quando mi fu accollata la responsabilità de “la Città”. Si navigava a vista e decidemmo di uscire (pur di non chiudere) con sole quattro pagine.
Vittorio approvò, pur con qualche riserva. Il numero successivo passò ad otto pagine e lui si meravigliò come, nel giro di sei mesi, il nostro periodico si arricchì di collaboratori. Tra l’altro, molti di quei giovani hanno intrapreso importanti carriere nel campo giornalistico e sociale. Oggi lo ricordiamo, come lo ricordano tanti compagni. Io in modo speciale: poiché voglio far giungere un grande abbraccio a Siria, sua figlia.